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Anchise il Padre sulle spalle - La vecchiaia come benedizione

La vecchiaia come benedizione

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Tratto da Luigi Maria Epicoco LA SCELTA DI ENEA – Edizioni Rizzoli 2022 pag. 98 e ss. – Riduzione e adattamento del testo di Grazia Dalla Torre

Nel racconto dell’Eneide troviamo la figura di Anchise, come figura di una vecchiaia che si converte dalla rassegnazione all’opportunità, al tesoro. Anche visivamente l’idea di caricarsi il padre sulle spalle, da parte di Enea, rappresenti il salvare il necessario, ciò di cui si ha bisogno per poter vivere, per poter affrontare un viaggio. Enea non salva delle cose, salva qualcuno. Sa che per poter affrontare l’ignoto non ha bisogno di denaro, ha bisogno invece di radici. Ecco perché convince il padre a quel viaggio e il padre, anche se inizialmente pensa a sé stesso come a un ostacolo, qualcosa che può rallentare il passo veloce dei fuggiaschi, a un certo punto accetta di essere portato da suo figlio sulle spalle, accetta cioè di ricoprire un ruolo decisivo attraverso proprio l’esperienza della sua anzianità.

(…) La vecchiaia è una risorsa, non è semplicemente una stagione della vita, ma è quell’opportunità che può dare un senso più umano alla vita stessa, perché la vecchiaia è portatrice di memoria, di esperienza, di capacità di discernere, di vedere dov’è l’essenziale. È attraverso proprio l’esperienza della vecchiaia che l’umanità non è condannata a dover ricominciare costantemente da capo.

Quando noi rimettiamo in contatto ciò che è memoria con ciò che è sogno, utopia, da quel momento in poi il presente diventa sempre più fecondo. Se la nostra società, alla maniera di Enea, non si prende la responsabilità di portarsi sulle spalle la vecchiaia, non semplicemente come un problema da gestire ma come qualcosa da includere, allora non riuscirà a tirarsi fuori da quel pantano che la vede sempre più incapace di traghettare la cultura verso un nuovo che non è semplicemente evoluzione tecnica ma è consapevolezza più profonda dell’essere umano. (…) La vecchiaia diventa tempo di benedizione quando porta con sé esattamente la capacità di saper rintracciare il bene dentro l’esperienza. Un anziano può far tesoro della propria vita e aiutare le nuove generazioni a saper trovare il bene nascosto delle cose, una dimensione cui è possibile accedere soprattutto attraverso la gratitudine.

Per molta parte della nostra vita viviamo nel fraintendimento del bene, cioè chiamiamo bene ciò che bene non è. E con il tempo ci accorgiamo che quello non era un bene, e lo capiamo dai frutti che ha portato all’interno della nostra vita. Chi ha vissuto più a lungo è avvantaggiato nel riconoscimento del bene proprio perché per primo è passato attraverso il vaglio dell’esperienza. Allora la vita di un anziano è benedizione perché aiuta sempre a rintracciare quel bene nascosto che molto spesso è celato allo sguardo della nuova generazione. (…) Un anziano è benedizione quando educa alla gratitudine non come una nozione moralistica, cioè non dice semplicemente che bisogna dire grazie, ma dice che nella realtà è nascosto un bene. Quando tu trovi questo bene, te ne accorgi perché questa esperienza fa sgorgare nel tuo cuore la gratitudine. Si può imparare la gratitudine solo e soltanto se c’è qualcuno che ci ha insegnato a vedere il bene nascosto.

Il secondo modo attraverso cui la vecchiaia può diventare benedizione viene dal fatto che essa è maestra non soltanto di discernimento del bene, ma soprattutto di pace. Che cosa intendiamo con pace? Non intendiamo certamente l’assenza dei conflitti o l’educazione all’imperturbabilità che tante volte abbiamo sentito narrata, raccontata e spiegata in diverse esperienze culturali e persino religiose. L’esperienza della pace di cui è portatrice la vecchiaia è innanzitutto un’esperienza di pacificazione. Essa non consiste nel trovare un modo per cancellare i problemi o per risolverli, ma nella capacità di educarsi a reagire in un certo modo proprio davanti alle difficoltà e ai problemi. Infatti, se vuoi misurare la maturità di una persona, non devi misurare la sua intelligenza, la sua competenza, non devi domandargli semplicemente la capacità di analizzare le cose. La maturità di una persona la si vede da come reagisce a una difficoltà, al vento contrario, davanti a un imprevisto.

La prima reazione umana ai problemi e alle avversità è quasi sempre la perdita della pace. L’anziano è colui che ti aiuta a porti davanti agli eventi nella maniera più pacificata possibile, e cioè con un atteggiamento di fiducia e di umiltà nello stesso tempo. Non si tratta semplicemente di credere che qualcuno in fondo risolverà il nostro problema ma si tratta di credere che se ci troviamo davanti a qualcosa, ciò sta a significare che possiamo vivere umanamente quel qualcosa, anche quando è tremendo, è oscuro, e in alcuni casi è disumanizzante. La pacificazione è restare umani davanti alle avversità, non lasciare che le circostanze avverse tirino fuori il peggio di noi. Esse, invece, devono far scattare in noi tutti quei meccanismi umanizzanti attraverso cui possiamo dire che persino un ostacolo ci ha fatto diventare più pienamente noi stessi. Il tempo della vecchiaia è il tempo del disincanto, e proprio per questo si ha la capacità di leggere in maniera pacifica la realtà. Non si è più influenzati dall’ebbrezza degli entusiasmi, e se si è passato il vaglio anche di una rassegnazione cinica, allora lo sguardo dell’anziano è lo sguardo realistico che ci aiuta a guardare le cose nella loro verità, e a comprendere che l’unico modo di corrispondere alla verità delle cose è reagire nella maniera più umana possibile.

Bisogna infatti restare umani affinché gli eventi e le circostanze della vita non ci facciano perdere la nostra vera identità, il nostro vero specifico.

La gratitudine e la pace lasciano il posto al terzo e ultimo aspetto della vecchiaia come benedizione, che consiste in un gesto semplice e allo stesso tempo rivoluzionario. È il gesto del togliersi, del diminuire, del lasciare il posto, del tramontare. Una vecchiaia è benedetta quando lascia spazio, quando rende possibile la vita degli altri, quando si accorge che dal proprio arretrare può emergere anche la propria eredità. Solo e soltanto quando si ha a cuore questo meccanismo generativo di filiazione, di prolungamento del proprio bene attraverso lo spazio lasciato agli altri, solo in quel momento la benedizione da ostacolo diventa invece fecondità. 

È sempre molto difficile lasciare spazio agli altri. La fase più complicata della vita di una persona è appunto il suo tramonto. Ma per poter tramontare bisogna avere la consapevolezza che non tutto possiamo da soli, che alla nostra vita è consegnata semplicemente una parte, e che agiamo sempre in maniera parziale. La nostra esperienza e il nostro contributo hanno sempre un inizio e una fine. Qualcun altro continuerà il lavoro che abbiamo fatto, e se lasciamo da parte quel delirio di onnipotenza che fa sì che ognuno di noi debba vedere l’inizio e la fine di una storia, allora la storia non è mai fine ma è sempre cambiamento, trasformazione, è sempre continuazione.

Non avere memoria di questa nostra finitudine dell’esperienza fa sì che ogni adulto pensi a sé stesso come infinito o non vagli in nessun modo le conseguenze più lontane delle proprie scelte. In un contesto in cui cresce una consapevolezza ecologica rispetto alla relazione che l’uomo ha con il creato e con il mondo che abita, emerge questa domanda: il mondo che noi viviamo, che usiamo, che manipoliamo, che consumiamo sarà ancora un mondo adatto alla vita? E se noi non valutiamo le conseguenze delle nostre scelte sbagliate, ci accorgiamo che questo cadrà sulla generazione successiva? Come possiamo dire di amare un figlio, quando non gli lasciamo un mondo in cui la vita sia ancora possibile? In questo senso l’anzianità è una benedizione non soltanto quando sa lasciare il passo, quando sa tramontare, far emergere la generazione successiva, ma soprattutto quando, come adulto che ha responsabilità, sa guardare in prospettiva alle conseguenze delle proprie scelte e fa in modo che chi verrà dopo troverà un bene, un mondo migliore e non semplicemente un’incognita, un mistero o, molto spesso, un mondo peggiore di come lo ha trovato è un conflitto o un’eredità.

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