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La famiglia dell’anziano e la comunità come beni comuni

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La pandemia si è innestata su un processo di individualizzazione degli individui e di frammentazione delle famiglie già in atto per via dei processi di modernizzazione, e l’ha ulteriormente rafforzato.”
(Pierpaolo Donati, Giulio Maspero, Dopo la pandemia. Rigenerare la società con le relazioni, Città Nuova, 2021, p. 14).

Come conseguenza di questo individualismo, è sotto gli occhi di tutti il tentativo di considerare “virtuose”  quelle persone che sono “immuni” sia della cura degli altri, sia dalla cura degli altri. In quest’ottica, il soggetto “immunizzato” (in-munus), da una parte, non dona alla comunità e, dall’altra, deve accettare di non ricevere alcun dono da essa. Ciò nonostante, proprio chi è stato solo e lontano dalla sua famiglia, ha più sofferto. La solitudine è perciò stata riconosciuta come una dei più gravi disagi della nostra epoca.

Allora, cosa si può fare per uscire da questa tendenza all’ “immunizzazione”?

Dobbiamo riporre fiducia nelle famiglie italiane” così come ci ha ricordato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel suo discorso del 31 dicembre 2019 (https://www.avvenire.it/amp/attualita/pagine/mattarella-italia-ritrovi-fiducia-dare-spazio-a-giovani).

Non si tratta di un’affermazione scontata. Il Presidente Mattarella riconosce alla famiglia un rilievo pubblico, essendo una risorsa per il bene comune.

Come e perché dare seguito all’invito del Presidente Mattarella?

Si pensi per esempio al tema dell’accoglienza: si dimentica di coinvolgere nella discussione proprio le famiglie e le reti di famiglie, sebbene gravino su di loro il peso maggiore dell’accoglienza e degli squilibri sociali, che da essa deriveranno.

Si tratta di un errore grave.

La famiglia gioiosa e unita è infatti per sua natura generosa, generativa e quindi aperta, capace di accogliere.

La famiglia è, al contrario, chiusa, se è precaria, ovvero, se, vivendo l’esperienza della frattura al proprio interno, ha paura. La paura più grande di una famiglia non è perciò lo “straniero”, il fragile o l’anziano, ma – come già detto – la solitudine e la mancanza di speranza.

In una simile situazione di difficoltà, la famiglia, che dovrebbe accogliere, è fragile, ha paura, così come lo sono le persone, le famiglie che dovrebbero essere accolte.

Pertanto, nessuna politica sociale sarà veramente efficace se non valorizza proprio questa attitudine delle famiglie all’accoglienza!

Fornire sostegno alle famiglie significa dunque non tanto e non solo rimborsare i costi dell’accoglienza, quanto piuttosto fare in modo che le famiglie possano realizzare i loro progetti di vita. Solo così anche i valori della famiglia – il dialogo, il dono di sé, l’aiuto reciproco – si diffondono nell’intera società rafforzandola. Se le famiglie non sono precarie, sarà più naturale coltivare insieme le virtù come il rispetto dell’altro, anche se straniero. La famiglia e i suoi valori, infatti, arginano – come dice il Presidente della Repubblica – aggressività ed egoismi.

Ma non solo, proprio l’accoglienza e l’integrazione dell’altro rappresentano per le famiglie “accoglienti” un’occasione e una leva per far crescere e sviluppare le proprie comunità.

Infatti, la vicinanza tra le famiglie e le reti di famiglie costituiscono il vero successo di ogni processo di accoglienza e di integrazione, senza il quale non vi sarà alcuna accoglienza reale.

Pertanto, eliminando gli ostacoli al “far famiglia” e restituendo alle famiglie la giusta serenità si permetterà proprio alle famiglie, unitamente alle loro comunità, di svolgere quel ruolo essenziale di supporto alle varie iniziative di accoglienza, integrazione e di dialogo intergenerazionale.

Quanto detto, è ancora più chiaro se si guarda proprio al legame degli anziani con le loro famiglie.

A tal proposito, come già precisato nel documento dedicato a “Gli anziani e il futuro dell’Europa” (disponibile online in lingua inglese: https://www.fafce.org/wp-content/uploads/2020/12/20201203-The-Elderly-and-the-Future-of-Europe.pdf), occorre un capovolgimento di prospettiva, che non indichi più semplicemente negli anziani e nei soggetti fragili un oggetto di cura, ma che li veda protagonisti prima di tutto nelle loro famiglie, e insieme alle famiglie, riconoscendoli come beni comuni per tutta la comunità.

In questo senso è fondamentale lavorare insieme, società civile, imprese e istituzioni, mettendo al centro la cura – ovvero la relazione, e quindi la famiglia, come luogo privilegiato e naturale in cui la cura può essere vissuta pienamente. 

Articolo a cura di Vincenzo Bassi, Presidente della Federazione delle Associazioni familiari cattoliche in Europa (FAFCE)

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