Cerca
Close this search box.
intervista michela flaborea

“Accordi che Curano”: Intervista alla Dott.ssa Michela Flaborea

Facebook
Twitter
  • Michela Flaborea: nel 1987, da una sua intuizione nasce un’impresa che progetta e gestisce servizi sociosanitari in modalità telematica. Può raccontarci i primi passi di questa virtuosa storia?

«Ero coordinatrice amministrativa di un gruppo di aziende triestine attive nel settore della sicurezza.
L’ istinto imprenditoriale, unito al desiderio di aiutare gli altri, mi ha portato a concepire un’idea: utilizzare le infrastrutture e le tecnologie proprie di quel settore per fornire alle persone anziane un servizio domiciliare. Erano gli anni dell’emergenza anziani, che ha colpito Trieste prima di altre città italiane; le istituzioni erano in difficoltà ed il privato offriva come unica risposta le case di riposo. Nella mia mente c’era già l’idea, seppur in embrione, di creare un servizio alternativo. Così è nato il telesoccorso.»

  • Rispetto al 1987, alla luce degli incredibili passi avanti che la tecnologia e in particolare il digitale hanno compiuto, può dirci quanto è cambiato il vostro lavoro? E in che modo, di questa profonda innovazione, ha beneficiato la vostra attività?

«Le rispondo cosi. Da un lato il nostro lavoro è molto cambiato perché le tecnologie applicate alla salute si sono sviluppate enormemente, modificando l’operatività. Oggi abbiamo strumenti (dispositivi, sistemi informativi ed informatici) che ci permettono di fare cose (ad esempio controllare con estrema precisione i parametri vitali o le condizioni dell’ambiente domestico di un assistito), impensabili 15 anni fa. Quindi siamo diventati più efficaci. Dall’altro, non è cambiato per niente, perché il centro del nostro lavoro continua ad essere la relazione di aiuto, fatta da persone che aiutano altre persone. Accoglienza, ascolto, comprensione dei bisogni, sostegno, aiuto: tutto questo c’era allora e continua ad esserci adesso.»

  • Scontato ma necessario parlare di Covid. Che effetto ha avuto sul vostro lavoro? Immaginiamo che, nel corso della pandemia, i vostri servizi abbiano svolto, sul territorio, un ruolo ancora più decisivo. Come avete vissuto i periodi di lockdown? Può raccontarci l’esperienza di quei drammatici mesi?

«E’ vero, il nostro ruolo è stato rilevante. Per più motivi. Abbiamo affiancato le istituzioni (Aziende Sanitarie, Comuni, Regione FVG) nella comunicazione con la popolazione: i servizi di call contact center sono diventati un tramite per dare messaggi, ricevere ed inoltrare richieste di aiuto, organizzare la fruizione delle prestazioni (a partire dagli appuntamenti per i vaccini); inoltre, avendo in carico utenza fragile, spesso disinformata e spaventata da quanto stava accadendo, abbiamo fornito orientamento, supporto emotivo e pratico. Piccole grandi cose: organizzare la spesa a domicilio, trovare chi portasse a spasso il cane, reperire i farmaci, rassicurare chi viveva un attacco di ansia. Infine abbiamo avviato, in collaborazione con la Clinica Neurologica dell’Ospedale Cattinara di Trieste un servizio di telemedicina con la finalità di ridurre gli accessi ospedalieri di pazienti affetti dal Morbo di Parkinson/TIA durante l’emergenza da COVID 19; il nostro Centro Servizi ha monitorato costantemente l’evolversi delle condizioni psicofisiche dei pazienti, facendo da interfaccia con le strutture sanitarie; l’iniziativa ha avuto risultati più che soddisfacenti, dimostrando l’efficacia della telemedicina per prevenire e gestire tempestivamente emergenze e recidive, in totale sicurezza. Il telemonitoraggio dei parametri vitali da allora si sta diffondendo velocemente come modalità elettiva per la gestione domiciliare delle patologie croniche. Insomma in quel periodo abbiamo lavorato moltissimo, giorno e notte, dando il nostro contributo alla gestione della Pandemia. È stato impegnativo, ma avevamo chiaro cosa fare, essendo abituati ad aiutare da remoto. Telefono, video chiamate, dispositivi, software ed internet sono da sempre i nostri strumenti di lavoro.»

  • “AMALIA – Telefono speciale” è uno dei vostri servizi “storici”. Ci racconta la storia?

«Amalia era una signora ultra-ottantenne di Trieste, completamente sola. Pur di non stare a casa in solitudine si faceva ricoverare in ospedale adducendo vari malori (erano gli anni 90, oggi non sarebbe più possibile…); era conosciuta da tutti nell’ambiente e tutti le volevano bene. Aveva una vestaglietta a fiori con cui si aggirava nei reparti ospedalieri, cercando compagnia. La conobbi anche io. E pensai: possibile che non ci sia un altro modo per uscire dall’isolamento e socializzare? Così nel 1996 à nato il progetto Amalia, diventato poi servizio dell’Azienda Sanitaria. All’inizio facemmo una grande campagna di comunicazione per fare emergere il bisogno sommerso (ovvero per conoscere gli anziani soli) e sperimentammo il primo servizio di tele-compagnia e monitoraggio.

Nei decenni Amalia è cresciuto integrando nuove attività, in base ai bisogni emergenti.»

  • Promozione dell’invecchiamento attivo e prevenzione dell’isolamento sociale. Quali proposte, in questa direzione, possono essere portate avanti per rispondere almeno in parte ai bisogni delle persone anziane oggi?

«L’invecchiamento attivo è uno dei grandi temi della società contemporanea. Dopo aver dato “anni alla vita”, ovvero allungato la durata della vita media, va data “vita agli anni”, ovvero riempito di senso quel periodo in cui si vive senza essere produttivi. Invecchiare attivamente secondo me significa continuare a trovare un senso nella vita, coltivando interessi e soprattutto relazioni.

Oggi il servizio Amalia fa proprio questo: promuove l’invecchiamento attivo con attività ludiche ed aggregative, motorie, culturali, di sostegno psicoemotivo (per combattere la depressione che spesso accompagna l’avanzare dell’età) e di contrasto al decadimento cognitivo. Abbiamo appena realizzato un progetto “Corpo, Mente, Cuore: Invecchiare in salute” che offre un ventaglio di iniziative, tutte molto apprezzate. Credo che il segreto sia fare diverse proposte perché gli anziani non sono omologati; a qualcuno piace ballare, ad altri parlare, ad altri ancora fare un po’ di attività fisica. La cosa più importante comunque rimane la socializzazione: gli anziani vanno aiutati ad aggregarsi, a stare in compagnia, magari coinvolgendo – come abbiamo fatto noi – i giovani.»

  • Il lavoro in sinergia con le istituzioni è un aspetto cruciale per chi opera nel settore sociosanitario. Qual è la sua esperienza di collaborazione con le istituzioni locali e nazionali?

«Le istituzioni sono il nostro principale e naturale cliente.

Credo che il privato debba affiancare il pubblico assumendo ruoli e mansioni specifiche all’interno di un rapporto fiduciario. Il privato è più veloce e più flessibile. La governance del sistema, invece, deve rimanere in mano al pubblico.

27 anni fa nasceva Amalia – Telefono Speciale, da una coprogettazione pubblico – privato: Comune di Trieste, Azienda Sanitaria e Televita insieme per fronteggiare un fenomeno sociale allarmante: le morti solitarie ed i suicidi. Eravamo all’avanguardia! Oggi è un momento cruciale perché stanno nascendo nuove forme giuridiche per promuovere la collaborazione tra pubblico e privato, come il Parternariato (PPP), che assegna al privato forti responsabilità.

Qual’è stata la mia esperienza? Non ho mai mollato, sono stata sempre presente e disponibile con le istituzioni, facendo sentire la voce di un’azienda che vive il rapporto con la Committenza come una partnership fiduciaria e non come una mera fornitura di servizi e questo sino ad ora, tra le indubbie difficoltà, ha funzionato.»

  • Normativa riferita alla terza età e all’attività degli operatori nel settore sociosanitario. Dall’alto della sua più che trentennale esperienza sul campo, quali i suoi auspici? Cosa sentirebbe di consigliare o segnalare al nuovo governo nazionale?

«Le leggi sulla terza e quarta età ci sono. La nostra Regione FVG ne ha fatte molteplici tra cui quella che regolamenta la teleassistenza domiciliare (L.R. 26/1996). Non è un problema di leggi quanto di regolamenti attuativi, che calino la norma nella realtà e consentano un’effettiva traduzione dei “principi” in “servizi per la gente”.

Consiglierei di lavorare sull’applicazione delle norme, coinvolgendo i diversi attori pubblici e privati, attivi nei territori, secondo una logica di sussidiarietà.

Per quanto riguarda gli operatori sociosanitari, la loro scarsità non è un mistero. Mancano medici, infermieri, OSS, ASA, anche Assistenti Sociali. Un problema strutturale, che vede il Sistema Salute in difficoltà nel far fronte alle esigenze della popolazione. Ritengo che vadano create figure professionali complementari a quelle sanitarie che agiscano su due fronti: la comunicazione con il paziente, perché i professionisti sociosanitari hanno un tempo limitato e devono focalizzarsi sulle attività specialistiche, e la mediazione nell’uso delle tecnologie, perché  gli anziani di oggi (e dell’immediato futuro) non le sanno utilizzare. Che poi è quello che facciamo noi, spesso sollevando i professionisti da compiti non strettamente sanitari ma cruciali per il buon esito degli interventi.

Credo infine che tutte le figure che operano nel campo della salute, sanitari e non, vadano legittimate e valorizzate perché, anche se la tecnologia sarà sempre più decisiva, l’aiuto continuerà a passare attraverso le persone, che fanno la differenza.»

Ultime news