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Intervista a Elena Macchioni, Ricercatrice del Dipartimento di Scienze politiche e sociali all’Uiversità di Bologna

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In vista del prossimo convegno “La cura dell’anziano alla prova della pandemia – Una rete di reti: alleanza per le persone anziane” che si terrà a Roma il prossimo 29 Aprile, abbiamo intervistato Elena Macchioni, ricercatrice del dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna e autrice – assieme al Prof. Riccardo Prandini – del documento “La Cura dell’anziano fragile alla prova della Pandemia”.

Salve dott.ssa Macchioni.

  • Quali sono le ragioni che hanno fatto nascere il documento?

«Le ragioni di questo documento le rintracciamo negli esiti della ricerca che abbiamo condotto nella primavera del 2020, al termine del primo lock-down, per cercare di comprendere come le strutture residenziali per anziani avessero affrontato l’emergenza sanitaria.

La ricerca “La Cura dell’anziano fragile alla prova della Pandemia”, ha evidenziato numerosi aspetti interessanti, tra questi la necessità delle organizzazioni di conoscere le altre realtà impegnate nella cura degli anziani fragili, condividere con esse obiettivi e risposte, per poi avviare un dialogo aperto e proficuo con le istituzioni.

Per questo, all’inizio del 2021, abbiamo dato avvio ad un percorso di reticolazione fra realtà che si occupano di anziani fragili, il mio ruolo e quello del Prof. Prandini è stato quello di affiancarli e guidarli nel chiarire gli obiettivi, nello stendere un glossario della cura e nel far emergere i punti che trovate esposti alla fine del documento, i quali vogliono rappresentare una traccia di lavoro per l’avvio del dialogo con le istituzioni nazionali, per poi arrivare sui territori e dare vita ad una medicina che sia sempre più pensata sulla dimensione della prossimità, soprattutto nella cura degli anziani fragili, fra domicilio e strutture residenziali.»

  • Crede che la pandemia, seppur con tutta la sua drammaticità, sia stata “utile” ad accendere i riflettori su alcune tematiche?

«Non penso che si possa parlare di “utilità” quanto piuttosto di “opportunità”.

Certamente la pandemia ha avuto un effetto di accelerazione nelle dinamiche e nei processi sociali già in essere, mostrandoceli con una maggiore vividezza. Sta poi ai cittadini ed ai professionisti decidere come guardare questi fenomeni e quanto tempo e risorse dedicarvi.

I membri della rete che si è costituita vogliono proprio continuare a mantenere i riflettori accesi sulla condizione degli anziani fragili per far sì che gli sforzi fatti per tutelarli e per prendersene cura non cessino e siano un’occasione per una riflessione attuale sui modelli di cura e sulle risorse ad essa dedicate.»

  • Il testo racconta di un grande fraintendimento che investe le RSA, spesso considerate la causa e non una soluzione. Come si è arrivati a questo?

  «Una delle dinamiche che si sono attivate durante il periodo emergenziale è stata sicuramente quella dello “scarica barile”. L’evento ha colto tutti impreparati e a fronte di mancate responsabilità è sembrato più semplice puntare il dito verso altri, piuttosto che fronteggiare le responsabilità di ciascuno.

Le RSA, una volta chiuse, con rapidità sono divenute il simbolo dell’abbandono e dell’assenza di cure. Questa operazione è risultata piuttosto semplice perché ha fatto leva sul “senso di colpa” già attivo in molte famiglie per aver scelto di istituzionalizzare i propri anziani e non curarli a casa.

Fino a quando le RSA sono state aperte e il rapporto fra strutture, operatori, ospiti e anziani era basato su trasparenza e condivisione, tutto è filato liscio; la chiusura delle porte ha permesso invece che le paure e la non conoscenza di ciò che accadeva all’interno generasse “mostri”

  • Co-produzione delle cure: ci può raccontare l’importanza di questo concetto?

«Questo concetto non è nuovo al gruppo di lavoro perché era già presente all’interno della Carta alleanza per le persone Anziane pubblicata nel 2019.

La co-produzione nel processo di cura è fondamentale perché si basa sul riconoscimento che ogni parte in causa del processo di cura possiede ed elabora un sapere peculiare che va valorizzato entro un quadro di ascolto e aiuto reciproco.

Di conseguenza diventa rilevante la premura e l’attenzione nei confronti di tutti i co-produttori: dagli anziani, ai familiari, ai professionisti, etc. Ognuno di loro ha competenze e carichi di cura che vanno riconosciuti, sostenuti, potenziati e valorizzati in modi peculiari.

Grande attenzione va data sia alla “fatica” che quotidianamente i vari generatori di benessere esperiscono per svolgere i loro compiti, sia al tempo da loro dedicato agli anziani che va tenuto in equilibrio con i tempi di riposo e di formazione.»   

  • Nel documento si fa riferimento a “Territori che curano”: a che punto siamo in Italia?

«Come abbiamo sperimentato durante il periodo emergenziale le cure risentono ancora molto di un modello ospedalocentrico ed è davvero scarsa (o quasi nulla) l’integrazione fra i servizi sanitari e quelli sociali. Prima delle infrastrutture murarie necessitiamo di una cultura che valorizzi la medicina e le cure di prossimità.

I piani nazionali sembrano ora dare la priorità alla costruzione di edifici che puntano ad offrire servizi sanitari e di cura con un approccio di prossimità, speriamo a questo punto che anche il percorso inverso – dalle strutture alla cultura – possa attivare un nuovo approccio alla cura, non solo degli anziani ma di tutti i cittadini, affiancandoli e accompagnandoli nelle diverse fasi del loro percorso di vita.»

  • Quali saranno gli obiettivi del Convegno che si terrà il prossimo 29 Aprile?

«Il convegno del 29 aprile ha un duplice obiettivo per la rete di realtà che lo ha promosso e per tutti i  professionisti e cittadini che decideranno di partecipare: il primo riguarda la necessità di portare le proprie istanze alle istituzioni e discuterle; il secondo riguarda l’opportunità di sviluppare un confronto e una futura collaborazione con reti nazionali che si occupano di anziani fragili per arrivare a costituire “una rete di reti” capace di valorizzare le risorse disponibili a livello di riflessione culturale; di contati con le istituzioni, di idee progettuali, etc.»

A breve lanceremo per Fondazione Alberto Sordi la rubrica “Voce del verbo”. Sarà il tentativo di andare oltre il significato lessicale delle parole, per trovare sfumature nuove. Il primo verbo sarà “Curare”. Qual è per lei il suo significato?

«Con il termine cura si fa riferimento ad una pratica che attiva un legame che si sviluppa fra “chi si prende cura” e “chi la riceve”, un legame tale per cui chi presta assistenza si sente responsabile del benessere di qualcun altro e, al contempo, mette in campo le proprie forze emotive, mentali e fisiche per ottemperare a tale responsabilità.

Condizione necessaria per offrire cura è la capacità di ascolto e la disponibilità di tempo. La cura richiede un tempo lento che talvolta entra in conflitto con i ritmi accelerati della nostra società contemporanea.»

Di seguito, il link per iscriversi al prossimo convegno che si terrà il 29 Aprile a Roma:
https://www.fondazionealbertosordi.it/iscrizione-convegno-29-aprile-2022/

Al seguente link invece l’intervista realizzata con il Prof. Riccardo Prandini:
https://www.fondazionealbertosordi.it/intervista-al-prof-riccardo-prandini-professore-di-sociologia-dei-processi-culturali-e-comunicativi-alluniversita-di-bologna/

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