Il 4 febbraio del 2005 Giuliana Sgrena, giornalista di Il Manifesto, si trova a Baghdad per effettuare alcune interviste dei profughi che si erano rifugiati nella moschea di al-Mustafa.
All’uscita della moschea, l’auto dove viaggia la giornalista viene bloccata da un commando terroristico e rapita. Di fronte a questo drammatico evento, il SISMI dà a Nicola Calipari, capo delle operazioni all’estero, l’incarico di trovare una soluzione per liberare la giornalista.
Il suo programma prevede la ricerca di canali che possano avvicinarlo ai rapitori, scartando l’ipotesi di un recupero della prigioniera con la violenza.
Intanto Giuliana Sgrena resta reclusa in un appartamento senza poter scrivere né leggere finché, dopo poco più di un mese, viene informata che la liberazione è imminente.
In effetti la giornalista viene prelevata da un’auto con a bordo Calipari e un suo collega per dirigersi al più presto verso l’aeroporto, ma una mitragliatrice americana spara contro la vettura, uccidendo Calipari che si era proteso per proteggere la giornalista.
Nicola non va ammirato solo per quel singolo, generoso gesto di coprire la giornalista dai colpi della mitragliatrice, ma è anche una bellissima testimonianza di un uomo carico di umanità che ha vissuto, nel suo difficile mestiere, alla ricerca di soluzioni non violente e concilianti.
Anche l’amore e l’attenzione che mostra verso la moglie e i figli non si contrappone al suo lavoro come una realtà a sé, ma è parte della costruzione di una umanità integrale: la vita in famiglia fornisce energia e calore per affrontare un lavoro difficile ma necessario mentre il suo lavoro, di ritorno, diventa un esempio edificante per suoi figli.
Il tema della responsabilità della morte di Calipari è presentato nella sua cruda realtà, senza polemiche di parte. Le due commissioni di inchiesta, quella italiana e quella americana sono arrivate a conclusioni opposte portando l’indagine sulla responsabilità dell’accaduto a un nulla di fatto.
Si tratta di un’amara conclusione ma al di là della specifica responsabilità per quello specifico atto, il film lascia trasparire un po’ di “fastidio” delle forze degli Stati Uniti dislocate in Iraq per questa iniziativa italiana che toglieva loro la gloria di riuscire a liberare la giornalista.
Claudio Santamaria costruisce una superba interpretazione del protagonista e Sandro Petraglia manifesta tutta la sua matura esperienza di sceneggiatore nel modulare le sequenze di azione con l’intimità della vita privata.
Recensione a cura di Franco Olearo familycinematv.it